Quel giorno, mentre se ne andava passo passo lungo i marciapiedi affollati, lo colpì, guardando in terra alle centinaia di piedi scalpiccianti nella mota, la vanità del suo movimento: “Tutta questa gente”, pensò, “sa dove va e cosa vuole, ha uno scopo e per questo s’affretta, si tormenta, è triste, allegra, vive, io…io invece nulla…nessuno scopo…se non cammino sto seduto: fa lo stesso”. Non staccava gli occhi da terra: c’era veramente in tutti quei piedi che calpestavano il fango davanti a lui una sicurezza, una fiducia che egli non aveva; guardava, e il disgusto che provava per se stesso aumentava: ecco egli era dunque così, sfaccendato, indifferente; questa strada piovosa era la sua stessa vita, percorsa senza fede e senza entusiasmo, con gli occhi affascinati dagli splendori fallaci delle pubblicità luminose, fino a quando? (...) “E io dove vado?” (…) Cosa sono? Perché non correre, non affrettarmi come tuta questa gente? Perché non essere un uomo istintivo, sincero? Perché non aver fede? (…) Dove vado?
Alberto Moravia, Gli indifferenti