venerdì 27 maggio 2011
giovedì 26 maggio 2011
Magnetismo
Nulla c’è di più strano e di più fragile del rapporto tra uomini che si conoscono solo con gli occhi, che ogni giorno, persino ogni ora, s’incontrino, s’osservino, costretti, per etichetta o per capriccio personale, a conservare, senza saltarsi e neppure parlarsi, l’apparenza d’indifferente freddezza. Tra loro c’è inquietudine e curiosità sovreccitata, l’isterismo di un bisogno insoddisfatto, innaturalmente represso, di conoscenza ed espansività, e in particolare anche una specie di tensione rispettosa. Perché l’uomo ama ed onora l’uomo, finchè non sia in grado di giudicarlo, e il desiderio è un prodotto di conoscenza imperfetta.
Thomas Mann, La morte a Veneziamercoledì 25 maggio 2011
martedì 24 maggio 2011
lunedì 23 maggio 2011
Guerra!
Le televisioni apriranno e chiuderanno i loro occhi, diligentemente, per far vedere o non vedere quanto c’é da vedere o non vedere secondo le direttive di una superiore, tutta programmata, strategia bellico-politica. E la vita e la morte, non piú di centinaia di migliaia, ma di milioni e milioni di persone, saranno la chiave, nella loro indissolubile unione, per penetrare ilivelli diversi e sempre piú raffinati del riassetto mondiale.
Asor Rosa, Fuori dall’occidente
venerdì 20 maggio 2011
Il satellite romantico
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna.
O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allora su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
O cara luna, al cui tranquillo raggio
Danzan le lepri nelle selve…
Già tutta l’aria imbruna,
torna azzurro il sereno e tornan l’ombre
giù dà colli e dà tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Che fai tu luna in ciel? Dimmi che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti riposi.
La luna nelle poesie di Giacomo Leopardi, da Lezioni americane di Italo Calvino
giovedì 19 maggio 2011
Onda su onda...
Siamo soliti ritenerci ragionevoli, dimenticando che la ragione è una piccolissima zattera su cui galleggiamo finché la furia delle onde non la travolge. E allora è la follia e non la ragione il nostro habitat abituale, a cui l’umanità ha cercato di porre degli argini prima con i riti, poi con le religioni, infine con regole di convivenza, leggi, istituzioni. Finché queste strategie tengono. Basta infatti che le pratiche razionali si sospendano, come nel sonno, o sotto l’effetto dell’alcol o della droga, che il teatro della follia, che costantemente ci abita, apre il suo sipario truce e abissale nelle forme della sua devastazione.
Umberto Galimberti, da La Repubblica delle donne del 26-09-2009mercoledì 18 maggio 2011
Life in the city
La città vive in me come un poema
che non m’è riuscito di fissare in parole.
Da un lato v’è l’eccezione di alcuni versi;
dall’altro, accantonandoli,
la vita precorre il tempo,
come terrore
che usurpa tutta l’anima.
Ci son sempre altri crepuscoli, altra gloria;
io provo il logorarsi dello specchio
che non si spalanca in una sola immagine.
Jorge Luis Borges, Vaniloquiomartedì 17 maggio 2011
La lingua impone distinzioni
In giapponese, ogni aggettivo numerale è composto da due distinte parti: la prima esprime la quantità come tale (iti=1; ni=2; san=tre ecc..), ma non basta a funzionare come aggettivo; ad essa deve aggiungersi un secondo componente (detto “classificatore”) che serve a indicare la classe dei fenomeni a cui appartiene il nome cui il numero si collega. Alcuni di questi classificatori sono: -hon (che indica oggetti lunghi e affusolati come alberi, penne ecc..), -mai (per oggetti piatti e schiacciati), -ken(per edifici), -furi (per oggetti taglienti), -dai (per veicoli), -nin (per persone) ecc. Quindi, la stessa quantità viene indicata con un numerale diverso, secondo che si tratti di alberi (oggetti alti) o fogli (oggetti piatti), di persone o di animali. Iti-mai, ad esempio, significa si “uno”, ma riferito a oggetti piatti, yo-nin significa “quattro”, ma solo in riferimento a persone, mentre se vogliamo enumerare i piani di un palazzo dobbiamo usare il numerale yon-kai (il classificatore kai si riferisce ai piani di una costruzione)ecc. Questi meccanismi grammaticali, in cui si conservano cristallizzate antiche credenze (in giapponese esiste perfino un classificatore che si riferisce alle divinità shinto, nel caso che si voglia contare: -hasira), mostrano come le lingue impongano arbitrariamente distinzioni obbligatorie.
Raffaele Simone, Fondamenti di linguistica
lunedì 16 maggio 2011
sabato 14 maggio 2011
È chiaro?
Diego Cugia, L’incosciente
martedì 10 maggio 2011
venerdì 6 maggio 2011
giovedì 5 maggio 2011
Un po' d'arte
Leonardo Da Vinci disse una volta che la pittura è la poesia resa visibile, una frase che dà modo di scoprire un secondo e forse più importante fine di quest’arte: commuoverci.
Il pittore francese Edgar Degas (1834-1917) fece notare che “l’artista non deve disegnare quello che vede, ma quello che vuol far vedere agli altri”: intendeva dire che chi disegna sceglie e dispone efficacemente quelle che sente essere le caratteristiche salienti del soggetto.
Rembrandt (1606-1669) non si accontentava di conservare i propri disegni, ma collezionava anche esempi dell’opera di altri artisti, compresi disegni indiani e persiani.
I ricchi album di schizzi di Leonardo Da Vinci (1452-1519) sono un fulgido esempio dell’uso che l’artista può fare dei propri disegni come mezzo di studio.
Gli impressionisti, sostenendo che la nostra più immediata assimilazione visiva del mondo avviene attraverso la consapevolezza del colore, tendevano a riprodurre nei dipinti la prima rapidissima impressione di colore che l’occhio riceve quando guarda qualcosa. E’ buon artista chi sa fondere i vari elementi di un quadro in un tutto unico. I pittori moderni sembrano affascinati dal problema di disporre forme e colori apparentemente casuali in composizioni invece accuratissime.
Claude Monet (1840-1926) era particolarmente interessato agli effetti di colore creati dalla luce su un determinato soggetto.
Pittori come Degas combinarono la nuova spontaneità della visione impressionista con i principi formali accademici.
Gli impressionisti hanno rivolto il loro interesse, più che alla riproduzione degli effetti di luce sulle forme, alle continue variazioni apportate dalla luce all’aspetto e all’atmosfera del mondo che ci circonda: cercano, per esempio, di cogliere una variazione di luce che suggerisca un preciso momento nel tempo.
Uno sviluppo dell’impressionismo fu il Divisionismo, che cercava di ottenere la massima luminosità accostando i colori puri sulla tela (cioè senza prima impastarli tra loro) a piccolissime pennellate. Esponente del divisionismo italiano fu Giovanni Segantini (1858-1899), che celebrò in ampie composizioni la vita dei montanari e la fatica degli animali.
Fino al XV secolo si usò soprattutto la tempera, che è composta di pigmenti misti a tuorlo d’uovo diluito in acqua e riasciuga in pochi minuti convertendosi in una pellicola resistente e opaca di colore puro, luminoso, formato da brevi pennellate sovrapposte; l’acquerello è composto di pigmenti mescolati a gomme vegetali collose e ridotti in formelle assolutamente secche; la tecnica della pittura a olio consente la rappresentazione di tessuti e materiali di diversa natura che l’occhio “sente” davvero diversi l’uno dall’altro.
I greci vedevano nella bellezza fisica un simbolo della perfezione morale e spirituale e nella loro arte concretizzavano un’opinione che Aristotele riassunse così: “L’arte completa quello che la natura non può portare a termine; l’artista ci rende noti i fini che la natura non ha raggiunto”.
Le demoiselles d’Avignone di Picasso fa pensare che molti pittori del XX secolo nel ritrarre il corpo umano si curano assai poco della esattezza scientifica del risultato, soprattutto perché per loro esso è il simbolo dell’umanità. Così in questo dipinto (1907) i corpi contorti e i visi simili a maschere sono solo il mezzo per esprimere un forte impulso emotivo, e non intendono affatto rappresentare un’ideale di bellezza, né tanto meno delle persone specifiche.
Nei suoi paesaggi Cézanne riuscì sempre a cogliere tutti gli aspetti della natura: la massa e il peso della roccia, la spaziosità delle distese di terreno e dei laghi, lo splendore della luce e del colore. A differenza della maggior parte dei pittori francesi di quell’epoca, Cézanne lavorava lentamente, in modo da poter fare un’analisi profonda e sottile delle forme reperibili in natura, e comporle poi in un’unica unità pittorica.
Oggi molti artisti creano dipinti astratti per superare i soggetti descrittivi e narrativi e giungere direttamente al colore e alla forma.
Da I Mondi dell’Uomo, vol.Arte, comitato di redazione: Dr. Bronowski, Sir Gerald Barry, James Fisher, Sir Julian Huxleymercoledì 4 maggio 2011
Dreams
Nel sogno si ricordó di aver sognato la stessa cosa la notte prima e molte altre notti degli ultimi anni, e seppe che l’immagine gli si era cancellata dalla memoria quando si era svegliato, perché quel sogno ricorrente aveva la virtú di non poter essere ricordato se non dentro il sogno stesso.
Gabriel Garcia Marquez, Cent’anni di solitudine
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