mercoledì 27 giugno 2012

Saggezza, Fortezza, Temperanza e Giustizia


Sergio Davanzo


Si fa un passo avanti coltivando saggezza, fortezza, temperanza e giustizia, e infine si giunge ad acquisire le virtù purificatrici: proviamo a separare l’anima dal corpo, apprendiamo a evocare gli dei – non a parlare a gli dei, come facevano gli altri filosofi, ma ad agire su di essi, facendo cadere le piogge mediante una sfera magica, collocando amuleti contro i terremoti, sperimentando i poteri divinatori dei tripodi, animando le statue per ottenere oracoli, convocando Asclepio perché guarisca gli ammalati. Ma attento, nel fare questo dobbiamo sempre evitare di essere posseduti da un dio, perché in tal caso ci si scompone e ci si agita, e dunque ci si allontana da Dio. Bisogna apprendere a fare questo nella calma più assoluta.
Umberto Eco, Baudolino

giovedì 21 giugno 2012

Debolezze



E’ probabile che ognuno di noi sia tollerante verso le debolezze nelle quali si riconosce.
Enzo Biagi

venerdì 1 giugno 2012

Gerusalemme liberata, Canto XVI


Vedresti lui, simile ad uom che freme
    d'amore a un tempo e di vergogna e d'ira,
    mirar alternamente or la crudele
    pugna ch'è in dubbio, or le fuggenti vele.
   
7 Ne le latebre poi del Nilo accolto
    attender par in grembo a lei la morte,
    e nel piacer d'un bel leggiadro volto
    sembra che 'l duro fato egli conforte.
    Di cotai segni variato e scolto
    era il metallo de le regie porte.
    I due guerrier, poi che dal vago obietto
    rivolser gli occhi, entràr nel dubbio tetto.
   
8 Qual Meandro fra rive oblique e incerte
    scherza e con dubbio corso or cala or monta,
    queste acque a i fonti e quelle al mar converte,
    e mentre ei vien, sé che ritorna affronta,
    tali e piú inestricabili conserte
    son queste vie, ma il libro in sé le impronta
    (il libro, don del mago) e d'esse in modo
    parla che le risolve, e spiega il nodo.
   
9 Poi che lasciàr gli aviluppati calli,
    in lieto aspetto il bel giardin s'aperse:
    acque stagnanti, mobili cristalli,
    fior vari e varie piante, erbe diverse,
    apriche collinette, ombrose valli,
    selve e spelonche in una vista offerse;
    e quel che 'l bello e 'l caro accresce a l'opre,
    l'arte, che tutto fa, nulla si scopre.
   
10 Stimi (sí misto il culto è co 'l negletto)
    sol naturali e gli ornamenti e i siti.
    Di natura arte par, che per diletto
    l'imitatrice sua scherzando imiti.
    L'aura, non ch'altro, è de la maga effetto,
    l'aura che rende gli alberi fioriti:
    co' fiori eterni eterno il frutto dura,
    e mentre spunta l'un, l'altro matura.
   
11 Nel tronco istesso e tra l'istessa foglia
    sovra il nascente fico invecchia il fico;
    pendono a un ramo, un con dorata spoglia,
    l'altro con verde, il novo e 'l pomo antico;
    lussureggiante serpe alto e germoglia
    la torta vite ov'è piú l'orto aprico:
    qui l'uva ha in fiori acerba, e qui d'or l'have
    e di piropo e già di nèttar grave.
   
12 Vezzosi augelli infra le verdi fronde
    temprano a prova lascivette note;
    mormora l'aura, e fa le foglie e l'onde
    garrir che variamente ella percote.
    Quando taccion gli augelli alto risponde,
    quando cantan gli augei piú lieve scote;
    sia caso od arte, or accompagna, ed ora
    alterna i versi lor la musica òra.
   
13 Vola fra gli altri un che le piume ha sparte
    di color vari ed ha purpureo il rostro,
    e lingua snoda in guisa larga, e parte
    la voce sí ch'assembra il sermon nostro.
    Questi ivi allor continovò con arte
    tanta il parlar che fu mirabil mostro.
    Tacquero gli altri ad ascoltarlo intenti,
    e fermaro i susurri in aria i venti.
   
14 "Deh mira" egli cantò "spuntar la rosa
    dal verde suo modesta e verginella,
    che mezzo aperta ancora e mezzo ascosa,
    quanto si mostra men, tanto è piú bella.
    Ecco poi nudo il sen già baldanzosa
    dispiega; ecco poi langue e non par quella,
    quella non par che desiata inanti
    fu da mille donzelle e mille amanti.
   
15 Cosí trapassa al trapassar d'un giorno
    de la vita mortale il fiore e 'l verde;
    né perché faccia indietro april ritorno,
    si rinfiora ella mai, né si rinverde.
    Cogliam la rosa in su 'l mattino adorno
    di questo dí, che tosto il seren perde;
    cogliam d'amor la rosa: amiamo or quando
    esser si puote riamato amando."
   
16 Tacque, e concorde de gli augelli il coro,
    quasi approvando, il canto indi ripiglia.
    Raddoppian le colombe i baci loro,
    ogni animal d'amar si riconsiglia;
    par che la dura quercia e 'l casto alloro
    e tutta la frondosa ampia famiglia,
    par che la terra e l'acqua e formi e spiri
    dolcissimi d'amor sensi e sospiri.
   
17 Fra melodia sí tenera, fra tante
    vaghezze allettatrici e lusinghiere,
    va quella coppia, e rigida e costante
    se stessa indura a i vezzi del piacere.
    Ecco tra fronde e fronde il guardo inante
    penetra e vede, o pargli di vedere,
    vede pur certo il vago e la diletta,
    ch'egli è in grembo a la donna, essa a l'erbetta.
   
18 Ella dinanzi al petto ha il vel diviso,
    e 'l crin sparge incomposto al vento estivo;
    langue per vezzo, e 'l suo infiammato viso
    fan biancheggiando i bei sudor piú vivo:
    qual raggio in onda, le scintilla un riso
    ne gli umidi occhi tremulo e lascivo.
    Sovra lui pende; ed ei nel grembo molle
    le posa il capo, e 'l volto al volto attolle,
   
19 e i famelici sguardi avidamente
    in lei pascendo si consuma e strugge.
    S'inchina, e i dolci baci ella sovente
    liba or da gli occhi e da le labra or sugge,
    ed in quel punto ei sospirar si sente
    profondo sí che pensi: "Or l'alma fugge
    e 'n lei trapassa peregrina." Ascosi
    mirano i due guerrier gli atti amorosi.
   
20 Dal fianco de l'amante (estranio arnese)
    un cristallo pendea lucido e netto.
    Sorse, e quel fra le mani a lui sospese
    a i misteri d'Amor ministro eletto.
    Con luci ella ridenti, ei con accese,
    mirano in vari oggetti un solo oggetto:
    ella del vetro a sé fa specchio, ed egli
    gli occhi di lei sereni a sé fa spegli.
   
21 L'uno di servitú, l'altra d'impero
    si gloria, ella in se stessa ed egli in lei.
    "Volgi," dicea "deh volgi" il cavaliero
    "a me quegli occhi onde beata bèi,
    ché son, se tu no 'l sai, ritratto vero
    de le bellezze tue gli incendi miei;
    la forma lor, la meraviglia a pieno
    piú che il cristallo tuo mostra il mio seno.
   
22 Deh! poi che sdegni me, com'egli è vago
    mirar tu almen potessi il proprio volto;
    ché il guardo tuo, ch'altrove non è pago,
    gioirebbe felice in sé rivolto.
    Non può specchio ritrar sí dolce imago,
    né in picciol vetro è un paradiso accolto:
    specchio t'è degno il cielo, e ne le stelle
    puoi riguardar le tue sembianze belle."
   
23 Ride Armida a quel dir, ma non che cesse
    dal vagheggiarsi e da' suoi bei lavori.
    Poi che intrecciò le chiome e che ripresse
    con ordin vago i lor lascivi errori,
    torse in anella i crin minuti e in esse,
    quasi smalto su l'or, cosparse i fiori;
    e nel bel sen le peregrine rose
    giunse a i nativi gigli, e 'l vel compose.
   
24 Né 'l superbo pavon sí vago in mostra
    spiega la pompa de l'occhiute piume,
    né l'iride sí bella indora e mostra
    il curvo grembo e rugiadoso al lume.
    Ma bel sovra ogni fregio il cinto mostra
    che né pur nuda ha di lasciar costume.
    Diè corpo a chi non l'ebbe, e quando il fece
    tempre mischiò ch'altrui mescer non lece.
   
25 Teneri sdegni, e placide e tranquille
    repulse, e cari vezzi, e liete paci,
    sorrise parolette, e dolci stille
    di pianto, e sospir tronchi, e molli baci:
    fuse tai cose tutte, e poscia unille
    ed al foco temprò di lente faci,
    e ne formò quel sí mirabil cinto
    di ch'ella aveva il bel fianco succinto.
   
26 Fine alfin posto al vagheggiar, richiede
    a lui commiato, e 'l bacia e si diparte.
    Ella per uso il dí n'esce e rivede
    gli affari suoi, le sue magiche carte.
    Egli riman, ch'a lui non si concede
    por orma o trar momento in altra parte,
    e tra le fère spazia e tra le piante,
    se non quanto è con lei, romito amante.
   
27 Ma quando l'ombra co i silenzi amici
    rappella a i furti lor gli amanti accorti
    traggono le notturne ore felici
    sotto un tetto medesmo entro a quegli orti.
    Ma poi che vòlta a piú severi uffici
    lasciò Armida il giardino e i suoi diporti,
    i duo, che tra i cespugli eran celati,
    scoprirsi a lui pomposamente armati.
Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, Canto XVI