martedì 17 maggio 2011

La lingua impone distinzioni

 
In giapponese, ogni aggettivo numerale è composto da due distinte parti: la prima esprime la quantità come tale (iti=1; ni=2; san=tre ecc..), ma non basta a funzionare come aggettivo; ad essa deve aggiungersi un secondo componente (detto “classificatore”) che serve a indicare la classe dei fenomeni a cui appartiene il nome cui il numero si collega. Alcuni di questi classificatori sono: -hon (che indica oggetti lunghi e affusolati come alberi, penne ecc..), -mai (per oggetti piatti e schiacciati), -ken(per edifici), -furi (per oggetti taglienti), -dai (per veicoli), -nin (per persone) ecc. Quindi, la stessa quantità viene indicata con un numerale diverso, secondo che si tratti di alberi (oggetti alti) o fogli (oggetti piatti), di persone o di animali. Iti-mai, ad esempio, significa si “uno”, ma riferito a oggetti piatti, yo-nin significa “quattro”, ma solo in riferimento a persone, mentre se vogliamo enumerare i piani di un palazzo dobbiamo usare il numerale yon-kai (il classificatore kai si riferisce ai piani di una costruzione)ecc. Questi meccanismi grammaticali, in cui si conservano cristallizzate antiche credenze (in giapponese esiste perfino un classificatore che si riferisce alle divinità shinto, nel caso che si voglia contare: -hasira), mostrano come le lingue impongano arbitrariamente distinzioni obbligatorie.

Raffaele Simone, Fondamenti di linguistica

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